La Dote dei Poeti

SCILLA MASTINI, RENDERE VISIBILE L’INVISIBILE

 

A cura di Bianca Sorrentino

Accade che la poesia straripi dal tracciato della pagina e si riversi nelle onde del suono. Scilla Mastini, la cui ultima raccolta poetica, Nomi comuni, è appena stata pubblicata da Lupi Editore, porta in giro, sui palchi teatrali e nei reading, versi propri e altrui.

Nel corso del Festival, abbiamo assistito a una tua performance in cui, affiancata alla chitarra da Roberto Ceccanti, hai recitato i tuoi versi. Come vivi sulla pelle il rapporto tra parola scritta, parola pronunciata, musica, teatro, ascolto?

Insieme al gruppo teatrale di cui faccio parte da diversi anni sono abituata ad interpretare le parole di altri, solo recentemente alcune performance sono incentrate sui miei versi. Approfittando della recente uscita della mia raccolta Nomi Comuni, ho cominciato a leggere poesie mie accompagnata dal musicista Roberto Ceccanti. Insieme abbiamo trovato un modo per dare alla parola scritta una nuova forma, rendendola adatta alla “piazza” e al confronto, cercando di rivolgerci anche ad un pubblico di non addetti ai lavori. Mi sono sempre trovata a mio agio nell’esporre scritti altrui, mentre il leggere in pubblico i miei testi ha reso necessario un percorso che mi permettesse di portare fuori quelle emozioni così viscerali. Sono stata costretta a prendere una certa distanza da quello che avevo scritto, guardarlo da un’altra prospettiva, per poterlo poi trasmettere agli altri in una maniera rinnovata ma anche autentica.

Si dice che ognuno abbia un luogo dell’anima, ma esiste anche un’anima dei luoghi. Le pietre delle case di Tredozio, i giardini dei Palazzi in questi giorni sembrano abitati da una grande anima collettiva, formata da tutte le nostre anime riunite nel segno della Poesia. Hai avuto anche tu questa percezione? Quali sono i luoghi delle tue radici, quelli in cui dimorano i tuoi versi?

Ho assolutamente avuto questa percezione di forte connubio tra luoghie persone. Tra l’altro dalla partecipazione al laboratorio con Alessandro Canzian è emersa con forza proprio questa sensazione: otto autori, “imperfetti sconosciuti”, si sono incontrati grazie alla poesia, e sono riusciti a tirar fuori, me compresa, sentimenti (a volte addirittura segreti) molto intimi. Si trattava di emozioni difficili da dire, di quelle che emergono solo in terapia. Il mio luogo? Per me la casa è qualcosa di metaforico, qualcosa che ci si porta dietro, come fa la chiocciola, la lumaca – che è un’immagine che ogni tanto ritorna anche nei miei versi: “La distanza è lunga una scelta / perché come chiocciola / per tornare a casa dovrò / guardarmi dentro”. La mia casa è un vissuto, un’esperienza, un’avventura, è una casa a mo’ di zaino!

Un’immagine molto particolare: la casa come luogo dei sentimenti, come luogo da abitare anche quando siamo lontani – chi ha la poesia dentro può riuscirci. Secondo il tuo modo di vedere, quali sono le Tres Dotes che un poeta deve avere per essere definito tale?

Una grande sensibilità, ma anche una grande capacità di ascolto, di se stessi, ma anche del mondo. La percezione di casa, di cui parlavamo prima, è qualcosa che a volte parte da dentro e a volte da fuori, come una spirale che si allarga nell’universo e negli altri– quell’ «altro da te» che permette di conoscersi, a volte anche per opposizione. Saper guardare e ascoltare, sapersi rendere permeabili, saper rendere visibile l’invisibile.