La Dote dei Poeti

ALESSANDRO BRUSA E IL SEGRETO DELLO STARE SULLE PUNTE

 

A cura di Bianca Sorrentino

Delicatezza e presenza appartengono solo a chi conosce il segreto dello stare sulle punte. L’instancabile tensione verso la ricerca caratterizza per Alessandro Brusa il motivo stesso del suo andare; la levità di certi interrogativi abita il suo dire poetico e convive in armonia con la densità del suo dettato, tra la concretezza viscerale del corpo e l’essenza diafana di ciò che è immateriale.

La forza disarmante degli inediti che hai letto al Festival Tres Dotes, aprendo l’evento dei Poeti di Notte, ha dato un segno a tutti i presenti, nel senso che è sembrato quasi di avvertire una sorta di rintocco, al quale tutti gli altri si sono accordati per evocare un’atmosfera di una rarità eccezionale, se non unica. Ascoltare quei testi è stato uno schiaffo in pieno viso e poi una carezza. Ciò che mi ha colpito – e che forse stupisce chi ti conosce poco – è che questi tuoi componimenti sono legati dal filo della spiritualità: tutti i titoli hanno a che fare con il rito sacro, quello della messa, e con la musica che a esso si ispira.

Io sono fatto di opposti: la mia vita è tutto un rimanere in equilibrio tra posizioni antitetiche. L’ultimo libro, che è molto diverso dagli inediti e da quello su cui sto lavorando adesso, si chiama In tagli ripidi (nel corpo che abitiamo in punta) (Giulio Perrone Editore), perché richiama l’equilibrio. Sono estremamente materico, materiale e materialista – tutti e tre! –, però credo di avere un afflato, un istinto, una spiritualità in qualche maniera innata. Non sono in grado di coniugare queste due cose, ma ho imparato a farle coesistere. Probabilmente in quei testi è saltato fuori questo. Riguardo al ‘dong’ di cui parlavi, è una cosa molto bella, perché in verità, quando vado a leggere dei testi, raramente decido cosa leggere. Spesso leggo anche in base a quello che salta fuori dagli altri che leggono insieme a me: ci si accorda; un concerto che non ha nulla a che fare con il resto stona – è proprio una questione di stonare! Il fatto che ci sia stata questa sintonizzazione di tutti è molto bello ed è ciò che cerco di solito.

La poesia del paese in cui ci troviamo, Tredozio, rimanda inevitabilmente a un discorso sul senso di appartenenza ai luoghi. Anche il mito è una radice, e a me pare che dai tuoi versi trasudi la rugiada del mito, che si cristallizza nella radice della tua famiglia, di tuo padre in particolare.

Sì, il mito diventa fondamentale. I testi letti ieri sera in realtà hanno una radice cristiana che mi appartiene molto poco, perché non sono credente, anche se, come mi capita di dire ai miei amici atei o con ideologie molto diverse, siamo cresciuti in Italia, quindi quelle sono radici che ci appartengono. E poi ci sono radici che per me sono più forti, come quelle della mitologia e della letteratura classica, greca e latina. Catullo è un mio grande amore. C’è un testo che ho scritto che dice: “è possibile per Ulisse continuare a vivere una volta che è morto Omero?”. Torniamo così alla mitologia personale e privata: mio padre si è sempre visto come un Ulisse e nella nostra dinamica io sono sempre stato il figlio abbandonato, quindi Telemaco mi si cuce addosso come un vestito su misura. La cosa divertente – e questa non è una mitologia privata, ma è la realtà – è che mio nonno (cioè il padre di mio padre) si chiamava Omero! Il padre di Ulisse si chiamava Omero. Questa è la mitologia su cui mi muovo ed è qualcosa su cui sto cominciando a lavorare come completamento del libro che sta uscendo, ma non ho ancora cominciato e non so se andrà a finire!

Noi te lo auguriamo e intanto ti domandiamo quali sono a tuo avviso le Tres Dotes di un poeta, quelle che è necessario avere nel proprio mito fondativo.

Quando hai detto “tre”, ho pensato subito a “libertà, uguaglianza e fraternità”, che è il motto più bello che sia mai stato creato nella storia dell’uomo. Funziona con gli uomini, quindi ancor di più con i poeti. Il poeta dev’essere libero e deve porsi con gli altri come un pari, quindi non contano tanto i premi, i riconoscimenti e le pubblicazioni: come diceva Derek Walcott, “siamo tutti qui a mettere il nostro mattone nella cattedrale”. La fraternità, la fratellanza è quella cosa che ti fa sentire parte di una comunità e creativo in maniera comunitaria – cosa che mi appartiene molto, ma non apparteneva per niente a mio padre, ma questa è un’altra storia!