La Dote dei Poeti

ROSARITA BERARDI E IL FILO ROSSO DELLA RICERCA

 

A cura di Bianca Sorrentino

Con il suo piglio volitivo e sarcastico, Rosarita Berardi, scrittrice e operatrice culturale, indaga un campo purtroppo ancora poco esplorato: ponendosi in ascolto delle voci di donna che vengono dal passato e da zone del pianeta spesso non considerate abbastanza, la studiosa ricostruisce l’evoluzione della poesia femminile, a partire dalla Grecia del VII secolo a.C. fino ad arrivare alle rivoluzioni del Novecento.

Abbiamo ascoltato, nel corso del Festival Tres Dotes, una tua interessantissima conferenza in cui sei riuscita a catturare l’attenzione del pubblico, invitandolo al viaggio attraverso il tempo e lo spazio, sulle tracce delle parole delle donne storicamente e tradizionalmente strozzate dalla preponderanza della voce maschile. Qual è il motivo di questa tua ricerca? Puoi delinearcene i tratti essenziali?

Sono molto contenta di un riscontro positivo che sta fiorendo in questo Festival e del fatto che molti mi chiedano della mia ricerca, nata per caso. Stavo compiendo alcuni studi su Saffo, l’unica poetessa dell’antichità considerata degna di questo nome; ho riflettuto sul fatto che la presentiamo sempre come un’anomalia: il fatto che lei fosse donna e che scrivesse poesia e che la facesse come gli uomini, accompagnata dalla musica, sembrava una stranezza. Nel condurre questa ricerca mi sono imbattuta in un’altra poetessa, Anite. La curiosità ha poi prevalso e ho scoperto che ci sono svariate poetesse greche dell’epoca con tiasi, con convitti; successivamente ho scoperto le poetesse romane. A quel punto il dubbio è diventato questo: se con una breve ricerca ho trovato una decina circa di poetesse del periodo greco-romano, quando invece pensavamo che Saffo fosse l’unica rappresentante, in quali altri periodi cosiddetti ‘bui’ della storia sarà possibile trovare poetesse donne? Ho cominciato per curiosità personale; ho scoperto che ne abbiamo centinaia, apprezzate, ammirate, protagoniste della loro epoca, chiamate “Maestro” da poeti che riteniamo grandi. Facciamo l’esempio di Marceline Desbordes-Valmore, poetessa francese, nel periodo dei Poeti Maledetti: Paul Verlaine la chiamava “Maestro”! O ancora Vittoria Aganoor Pompilj, contemporanea di Pascoli e di Carducci, da loro chiamata “Maestro”. Leggendo le sue poesie, ci si rende conto che tutto il discorso straordinario che fece Pascoli sulle sinestesie, quel modo di fare poesia completamente nuovo riguardo alle tecniche, in lei trovano un precursore. Oltre alla ricerca in sé, che ha dato vita a ciò che avete ascoltato durante il Festival, oltre a centinaia di nomi che ho amato andare a cercare con le loro storie, biografie e opere, mi sono resa conto che quella che io ritenevo una forma di pigrizia intellettuale in realtà è uno spregio, abbastanza stupido dal mio punto di vista, nel non volersi mettere in discussione, nel non capire come le donne fanno poesia. La diversità tra il modo in cui fanno poesia uomini e donne è la ragione per cui l’accademismo non le vuole, le antologie non le presentano, a scuola non si insegnano e cadono periodicamente nell’oblio, salvo poi trovare delle pazze del mio calibro!

Quello che hai sin qui tratteggiato riguarda il passato; per il futuro intravedi dei segnali di apertura?

Il mondo femminile comincia a riguadagnarsi il suo spazio, quello che ci spetta di diritto. Non riusciamo però ancora a capirci con gli uomini che scrivono poesia: loro continuano a sognare una poesia strutturata, con delle regole precise, magari da rompere, ma a cui ricorrere per poterle rompere; noi no, noi ci affidiamo moltissimo all’istinto, alla parola, alla semantica delle emozione più che a quella di un verso che deve inscriversi in determinate corde. Non ci poniamo il problema di rompere le regole: lo facciamo perché siamo donne, punto.

A tuo avviso, quali sono le Tres Dotes di un poeta?

Di un poeta o di una poetessa?

Senza distinzioni di genere, doti trasversali!

La capacità di viversi fino in fondo: questa sicuramente è una dote fondamentale. Abbiamo visto nel corso dei secoli tanti poeti morire per non essere riusciti a contenere tutto quello che avevano dentro; questa è una delle ragioni più forti di suicidio nel campo artistico-poetico. Bisogna viversi fino in fondo senza timore del ‘troppo’, del troppo intenso, del troppo profondo, quindi accettare di essere se stessi, fuori dagli schemi. Studiare sempre moltissimo, perché la propria poesia diventa tanto più grande, più profonda, quanto più la si mette a confronto con il resto del mondo (non solo l’Italia o l’Europa, ma il mondo). La terza e ultima è non perdere mai la capacità di sognare, perché sennò abbiamo finito!