Alessandro Brusa

Q.B. 

Nota di lettura su  L’amore dei Lupi 
di Alessandro Brusa, Giulio Perrone Editore 2021

 

L’ultima pubblicazione dell’autore Alessandro Brusa, uscita il 14 gennaio per Giulio Perrone Editore, è un potente canzoniere d’amore in cui la sfera privata si eleva a parola comune, proprio per l’universalità del tema trattato.

L’autore stabilisce una prima direttrice in esergo con la citazione di Forrest Gander: La politica inizia nell’intimità; parole che richiamano l’esergo del Giardino della gioia [1] di Maria Grazia Calandrone: Siccome nasce / come poesia d’amore questa poesia / è politica. Queste prime considerazioni allargano immediatamente i confini dall’esperienza biografica a quella collettiva, innescando un parallelo tra la storia di ogni singolo individuo – il come si rapporta a se stesso e al prossimo – e lo sviluppo di ogni altra possibile relazione al di fuori dell’intimità.

La compatta raccolta di testi attraversa l’amore in ogni sua forma: tra impeti di avvicinamento e di allontanamento, di conquista e di perdita, la sessualità va in scena senza scandali, proprio tanto quanto la tenerezza di ogni abbraccio, o la profondità di ogni pensiero. All’interno delle sei sezioni che compongono il libro, gli uomini si fiutano, si respirano, a tratti si cercano e si scartano, si sfiorano con la stessa intensità con cui si penetrano e si succhiano. Esattamente come si feriscono e si detestano. Tutto è movimento, verso e contro, non a caso l’autore sceglie il moto delle onde, tra gli scogli, sulla sabbia, come ricorrente metafora delle relazioni: un movimento che aggancia il lettore e lo strascina deliberatamente fuori e dentro i versi.

Uno dei tratti fondamentali con cui l’autore indaga il mondo dei rapporti risiede nella nudità. Nudità intesa come affondo coraggioso e preciso della parola nella complessità di ogni legame con l’altro da sé, percorso che torna a ridefinire la stessa identità di chi questa indagine compie e che conduce il lettore, attraverso un sentire condiviso e la liberazione di un principio di riconoscimento, a una possibile forma di evoluzione comune. La nudità come tentativo di verità, per quanto complessa, obliqua, ambivalente incarna un moto autentico verso il prossimo.

I testi, colmi di rimandi interni, esibiscono senza provocazione, se non quella di sollevare il velo su ciò che spesso abita il non detto, spazzano via l’ipocrisia e ogni edulcorata forma di conformismo rivelando, assieme ad altre sfere, l’importanza della sessualità. La parola diretta non è mai pornografia, ma è tassello dell’insieme, elemento attivo della relazione, fisica e mentale: tanto le narici quanto il cuore e il cazzo sono necessari a dire l’universo del rapporto. L’agonia della distanza si mostra con una “lingua che mi tieni lontano”, come la preghiera di essere accettati si manifesta nel conoscere “le spine e la ruggine” del proprio torace.

Sottolineare l’omosessualità di Alessandro Brusa, a mio avviso, serve solo per identificare una coordinata geografica entro cui comprendere la sua specifica lettura del mondo ma, al di là di questo, ciò che più conta è il rapimento che l’autore stesso compie sul lettore. Si viaggia con l’anima e con il corpo e, per una volta tanto, non solo corpo che muta e che soffre, ma anche corpo che gode, sul corpo vivo dei versi.

Dal punto di vista formale sono gli a capo improvvisi e una punteggiatura inaspettata, ma non inedita per l’autore, a sostenere la lettura in modo magistrale. Il rispetto delle pause aiuta ad afferrare il ritmo dei versi, gli allontanamenti delle parole e i loro improvvisi avvicinamenti si fondono con lo stesso movimento erratico degli uomini nel loro aprirsi e chiudersi alle relazioni.   

Alessandro Brusa si spoglia dinanzi al lettore, senza alcun timore, trascendendo le categorie, legittimando ciò che solo a parole potrebbe risultare inconsueto – finanche per qualcuno inopportuno – eppure innegabilmente così portante nell’universo umano.

Mi chiedo se la lucidità riservata in questo libro a tutte le sfaccettature dell’amore possa ampliare il grado di accettazione delle varie potenzialità umane e se, proprio quest’accettazione, a tratti dostoevskijana, possa condurre a una maggior consapevolezza di noi stessi e dei nostri intimi e talvolta rupestri territori. L’autore accende una luce su come il vissuto amoroso, nella sua completezza di alti e bassi, sia parte fondante della nostra identità, individuale e quindi necessariamente anche sociale.

Una nota di apprezzamento va, da parte mia, anche alla prefatrice Sonia Caporossi, perché condensa sapientemente in alcune pagine le chiavi d’interpretazione fondamentali per la lettura profonda di questo libro.
 
[1] Mondadori, collana Lo Specchio 2019


Monica Guerra
 

 

 

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