2 Aprile 2018

Bruno Bartoletti

 

Giovedì 5 aprile è stato ospite di #POETRY il poeta Bruno Bartoletti, con il suo ultimo libro I Volti non hanno più Nome (Ladolfi Editore, 2017).  

I versi dell’autore hanno cucito presente e passato, affacciandosi come una domanda aperta sul futuro.

Bellezza è stato ritrovarsi nel luogo privilegiato della Poesia –forse luogo del per sempre-, dopo avere compiuto  un bel viaggio nella memoria, negli interrogativi sulle relazioni e sul significato della stessa vita.

La serata ha registrato per #POETRY ancora una volta il tutto esaurito e il dialogo che l’ex preside dell’Istituto Oriani di Faenza ha tessuto con i partecipanti è stato ricco di riflessioni. Oltre alla lettura dei versi del suo ultimo libro, caratterizzati da una grande tessitura sonora, e alle riflessioni sulle radici e sul ricordo -punto di partenza per una costruzione consapevole del futuro-, il poeta ha condotto il pubblico attraverso i testi di celebri autori, italiani e non, citando i grandi che hanno in qualche modo influenzato il suo percorso letterario: partendo dall’imprescindibilità dei classici e transitando per l’Achmatova ha sfiorato persino la generazione Beat con Jack Kerouac.

Le considerazioni sulla poesia come “una stretta di mano”, parafrasando il grande Paul Celan, sono state fondanti per un dialogo che ancora oggi non esaurisce e non spiega in toto la Poesia, se non come p-“arte” complementare e necessaria dell’essere umano.

Poesia come tentativo di crescita dell’individuo e come ponte nella relazione, poesia che testimonia il vissuto per far sì che errori e valori del passato non si disperdano nel flusso inesausto del tempo.

Il messaggio dell’autore affonda nelle difficoltà e nelle perdite personali ma si fa discorso universale raccogliendo nei temi comuni le ombre della vita di tutti. La tensione, priva di sentimentalismo e ricca di una sorta di pacificatoria umiltà, tende a celebrare ciò che resta, rispetto a ciò che si perde, il tono è speranzoso e accogliente anche quando si è vicini a perdere la vita stessa.

Segni, questi, di un lavoro che, al di là della Poesia, l’essere umano che l’ha scritta ha certamente compiuto su se stesso.

Bruno Bartoletti conferma a #POETRY, anche in questo secondo appuntamento, oltre alla sua palese dimestichezza con la materia poetica e tutti gli strumenti a suo servizio, la sua grande levatura morale. L’integrità di un uomo non traspare solo dalla sensibilità che egli pone a servizio delle Muse ma dalla passione e serietà con cui si è dedicato per tutta la vita alla formazione dei giovani e alla divulgazione della Poesia.

 

#POETRY

 

Verso Bisanzio

 

navigare alla volta di Bisanzio

e ritrovare i giorni o risalire

la sorgente

leviga il sasso la pietra sempre viva

ritornare per capire

 

nello specchio quel volto

aveva gli occhi da bambino

triste un sorriso

la penna in una mano sul quaderno

 

tutto quello che resta è già nel solco

 

così scrivevo e poi

come d’intesa

lo sguardo si perdeva

 

erano gli altri a tessere giardini

e risalire

Sisifo stanco ancora rotolava

con la sua pietra

a fondo

 

Profilo bio-bibliografico

 

Bruno Bartoletti nasce nel 1942 a Montetiffi, una piccola frazione del comune di Sogliano al Rubicone (FC), dove tuttora risiede. All’età di 8 anni perde il padre, morto in un incidente in miniera in Francia nel 1951, tragedia che lo segnerà per sempre.

Laureatosi nel 1967 in Materie Letterarie presso l’Università degli Studi di Genova con una tesi su Giovanni Pascoli, nel 1974 è nominato assistente ordinario alla cattedra di Storia della letteratura italiana moderna e contemporanea presso l’Università degli Studi di Torino, nomina a cui rinuncia per dedicarsi all’insegnamento negli istituti tecnici dove svolgerà dal 1981 la funzione di preside. Uomo di scuola e promotore culturale, presso l’Università di Aix en Provence ha svolto un dottorato di ricerca d’Etudes Romanes con un lavoro su Dino Campana. Si è sempre dedicato alla poesia fin da ragazzo, ma solo in età matura ha cercato di dare ordine e sistemazione al suo lavoro. Nel 1997 pubblica il suo primo volume, Trasparenze – Frammenti di memorie, nel 2000 Le radici, nel 2001 Parole di Ombre, nel 2005 Il tempo dell’attesa, Società Editrice «Il Ponte Vecchio», nel 2012 Sparire in silenzio ritrovando il vento delle strade, Youcanprint Self – Publishing, nel 2017 I volti non hanno più nome, Giuliano Ladolfi Editore.

Nel 2017 esce il saggio È sempre lunedì «Voglio ringraziarmi tutti per avermi concesso di insegnare», Youcanprint Self – Publishing.

Presiede l’Associazione culturale “Agostino Venanzio Reali” e l’omonimo premio nazionale di poesia.

Oggi finalmente dà colore al tempo e approfondisce i suoi studi, specialmente nel campo della letteratura e della poesia, una delle poche risorse ancora vive.

 

In un suo recente lavoro sulla scuola, È sempre lunedì «Voglio ringraziarmi tutti per avermi concesso di insegnare», Youcanprint Self – Publishing, ha scritto:

“Ho pubblicato il mio primo libro di poesie Trasparenze. Frammenti di memoria, nel 1997, quando avevo 55 anni, il mio secondo libro, Le Radici, nel 2000, quando ne avevo 58. Se qualcuno volesse chiedermi:

Ma com’è che ci hai messo tanto?

Rispondo come rispose alla stessa domanda Frank Mc Court nel suo Ehi, prof!

Insegnavo, ecco com’è.

E posso aggiungere: Ho poi fatto il preside. Ed è stato ancora peggio, non c’è stato mai tempo di leggere se non quelle impossibili circolari, e tanto meno di scrivere. Solamente che i miei testi – a quelli ne seguirono, a intervalli di cinque anni l’uno dall’altro, altri tre – non ebbero lo stesso successo dei libri di Mc Court. Ecco qual è la differenza. E non è una differenza da poco. Qualche commento, qualche lode strappata o intravista tra le righe, qualche premio, più per accondiscendenza che per valore. Poi nel dimenticatoio”.

 

E ancora:

“Tutto quello che so l’ho appreso da studente (grazie ai miei docenti e ai miei maestri di scuola elementare, così importanti come è importante la prima innaffiatura); l’ho completato da insegnante (grazie ai miei studenti) perché l’insegnamento richiede un aggiornamento continuo, anche sotto il profilo del “sapere”; l’ho in parte dimenticato da preside (un pauroso regresso culturale, perché a nessuno importa che il preside sappia o non sappia, se entra o non entra in classe, se arriva la mattina a scuola alle ore 8 o alle 10, quando i problemi sono già scoppiati); ma infine mi sono immerso nel grande mare del sapere da pensionato nella mia «stanza separata», come scrisse Cesare Garboli, grazie agli innumerevoli autori e scrittori e critici e poeti (quelli veri)”.