11 Dicembre 2019

Paolo Maccari

 

I ferri corti (LietoColle, 2019) di Paolo Maccari sarà presentato alla rassegna Poetry mercoledì 18 dicembre alle ore 21.00 presso il Bistrò Rossini da Monica Guerra e Rossella Renzi.

Il libro, pubblicato nella prestigiosa collana Gialla Oro di Pordenonelegge, raccoglie il meglio della produzione poetica dell’autore partendo dai suoi esordi (dalla Raccolta Ospiti, Manni, 2000) sino a oggi.
 
Musica a cura di Ettore Marchi, per cui si ringrazia la Scuola Sarti.
 
OPEN MIC in coda per il pubblico.
 
 
PAOLO MACCARI
Paolo Maccari (Colle di Val d’Elsa, 1975) è poeta e critico lettarario. Nel 2000 ha pubblicato, con prefazione di Luigi Baldacci, la raccolta di versi Ospiti (Manni), nel 2006 la plaquette Mondanità (L’obliquo), poi confluita nel volume Fuoco amico (Passigli). Ha introdotto e curato diverse opere di autori otto-novecenteschi; è autore di un’ampia monografia su Bartolo Cattafi: Spalle al muro (2003) e di un libro su Dino Campana, Il poeta sotto esame (2012). Collabora, con saggi e articoli militanti, a quotidiani e  periodici specializzati.

ETTORE MARCHI
Ettore Marchi ha compiuto gli studi musicali al Conservatorio Statale G. B. Martini di Bologna sotto la guida di Walter Zanetti.Ha approfondito i suoi studi presso il Real Conservatorio Superior de Música “Victoria Eugenia” de Granada e alla Scuola di Musica Antica a Venezia (SMAV).
Attualmente frequenta il biennio di specializzazione interpretativa in liuto presso il Conservatorio di Musica F. Vittadini di Pavia sotto la guida di Massimo Lonardi, è allievo del corso di composizione di Cristina Landuzzi al Conservatorio Statale G. B. Martini di Bologna e dell’Accademia Chitarristica Segovia di Pordenone per approfondire i suoi studi classici con Paolo Pegoraro e Adriano del Sal.
È docente di chitarra classica e liuto presso la Scuola di Musica G. Sarti di Faenza e presso la scuola media S. Umiltà di Faenza.

 

Da I ferri corti
Da Ospiti (2000)

Traguardi

Povere anime incise in un corpo

rovinoso e disubbidiente povere

anime brumose divelte dalla

coscienza, come scivolate nei

tremendi fossati delle mattine

interminabili e scontrose e ferme.

Passate indenni attraverso le grandini

d’eventi grandiosi terribilmente

capaci di indurire le impalcature

dei cuori, se solo manca un evento

minimo al suo appuntamento con una

consuetudine, entrate nel dolore

agro, nella giostra della furiosa

protesta – e sopportaste in piedi voci

o scritture che d’un tratto feroci

vi facevano orfani vedove

vi depredavano d’un figlio d’un

fratello di una qualsiasi altra cosa

necessaria, e foste fermi e viveste

e ora al vostro assassino basterebbe

negarvi un pasto all’ora stabilita

e voi morireste – e questo è duro –

di rabbia per l’ingiustizia patita.

Povere già morte nell’uguaglianza

della stessa fine anime ferite

mortalmente dall’indugio crudele

della morte, nessuno è più innocente

di voi insopportabili rimasugli

d’uomini e donne di qualsiasi risma,

nessuno vi aveva avvertito quando

eravate coraggiosi di come

si coagula in macchia il sangue vivo

né avreste potuto far niente mai

per raggiungere una vera salvezza.

S’estinguono all’unisono salute

e mente e non rimane scelta libera

tra fine volontaria ed ingloriosa

caduta nello zero che trangugia.

Povere che la pietà non ferisce

né consola anime senza memoria

e dunque senza amore né rancori,

l’occhio che vi vede si storna rapido

diviene un brivido prima d’assolvervi.