abitarmi stanca

Alessandro Assiri

Abitarmi stanca

(Puntoacapo, 

2023)

*
E quanti pensieri già pensati, una prigione rigorosa
di passi corti e senza ritmo
L’essere stato che comunque mi divora
e io che non sorpasso, sto dietro finché dura
*
Lo sai che c’è questo nulla
che m’insegue per divorarmi dentro extraurbano
dalla periferia al centro
E cos’è una vita avendo poco tempo: scendere
prima ma essere già stanco, salutare chi ti somiglia
con un gesto perché sono dove sei e ci vedremo
presto
*
Quando l’anno compie dieci mesi, getto sempre il
calendario nel cestino, così il Dio in cui credo saltua-
riamente benedice la tua insonnia
e ci fa restare ancora insieme Il tempo d’invecchiare
uguali
*
Ogni parola è un pezzo d’abbandono, una biro
mangiucchiata col segno dei tuoi denti, un segnali-
bro rotto, un cuoricino disegnato, un noi in una
favola coniugata all’infinito da due tazze su una
mensola
da uno spazzolino in bagno, dall’ombrello che hai
scordato
Dovrei ripulire, toglierti dai fogli, dai bicchieri,
dalle canzoni, dall’ alito sul vetro dove scrivo il tuo
nome
Le cose in cui capirci, in cui ci siamo persi, il rac-
conto dal pavimento che mi dice tutto bene
e piano piano prende il posto del tuo vuoto
*
Ti guardavo mangiare da sola, chiamare gli spa-
ghetti per nome, sussurrare ti amo alla tagliata
Poi ti ricordi amore le gocce dagli occhi, che stan-
no nel bicchiere, le vite insieme che sognavo con
gli amari

“Senza un addio mi fa male tutto / resta il guasto anche nelle parole buone nel conti- / nuarvi cattivi / pur d’immaginarvi vivi // Nell’eterno ritorno / quando bastava un buongiorno”. Era il maggio del 2014 quando recensii per la prima volta Alessandro Assiri (“Appunti di un falegname senza amici”, Lietocolle, 2013, il suo ottavo libro di poesia) rimanendo colpita dalla fisicità dei versi cadenzati sul ritmo del passo, difficili da immaginare concepiti a tavolino. Versi connessi con la vita reale, con la visione di qualcosa che rimanda a un ricordo, a un’idealità, a un rimpianto, a una disillusione; talvolta a una riflessione. La medesima voce trovo in questa quattordicesima prova nella cui prefazione Ivan Fedeli definisce Assiri “poeta di cose” dove ambienti e situazioni acquistano “peso specifico in veste di funzione narrativa, cornice necessaria”: “stampelle comodini acque e colluttorio il colore / azzurro del mare / lo iodosan il sapore del sale”. Cose, appunto, oggetti ordinari sparsi nella casa assumono improvvisamente un ruolo e un significato funzionali al poeta per rielaborare “un lutto archetipico”, la morte dei genitori, facendosi simbolo per esorcizzare “il tempo definitivo”, pur nella consapevolezza dell’inutilità del gesto – la commozione del ricordare -, che è tentativo di resistere e ancorarsi a un capitolo ormai chiuso di una vita passata, percepita come soffocante. Assiri conferma in quest’ultima prova di essere un poeta fuori dagli schemi, in cui è riconoscibile un doppio sguardo. Da un lato, lo sguardo dell’io, del destino personale, della prima persona singolare, legato a una tradizione di lirismo tragico che fa capo a Montale, Sereni e Fortini; dall’altro, un’attitudine filosofica che riflette sulla dimensione storico-sociale nella quale gli individui si trovano presi. I due momenti si alternano e si contrappongono in una dialettica dolorosa, ma con la fede in una parola da restituire al suo valore e dunque capace, se non di sanare, almeno di arginare ferite. Tenerissimi sono i ricordi dell’infanzia che stringono il cuore e paiono immedicabili: “Volavano gli aeroplanini di carta / le scuole serali coi diplomi e i sacrifici era quella la / nostra chirurgia interiore // I pantaloni con più stoffa, l’orlo da allungare un / nonno che non lesinava una carezza / i pastori del presepio più alti delle case gli impac- / chi in semolino // Ho ritrovato ieri la tua coperta della nanna l’ho messa insieme ai miei ricordi da bambino”. Una sorta di regressione, un bisogno quasi disperato di recuperare qualcosa che “un cuore tristissimo” agogna ormai senza pudore. La rima, abilmente utilizzata, lo aiuta a sdrammatizzare, a recuperare la padronanza del sé adulto che deve procedere, anche se il lutto l’assenza la privazione di qualcuno e qualcosa, che un tempo aveva percepito come ingombrante, ora pare tormentarlo come un rimorso, qualcosa che va espiato. Ma consola sapere che la parola della poesia può farsi terapeutica e ricucire legami post mortem.

Alessandro Assiri (Bologna 1962) vive tra Trento, Bologna e Parigi. Si occupa a vario titolo di letteratura e progetti culturali per editori italiani e francesi. Collabora con riviste letterarie cartacee e telematiche. Per musei e fondazioni private cura acquisizioni di libri antichi e opere d’arte. In poesia ha pubblicato: Morgana e le nuvole (2004); Il giardino dei pensieri recisi (2006); Modulazione dell’empietà (2007); Quaderni dell’impostura (2008); La stanza delle poche righe (2010); Cronache della città parallela (2011); In tempi ormai vicini (2012); Appunti di un falegname senza amici (2013); Lo sciancato e Caterina (2014); Lettere a D. (2016); Ontologia della Maddalena (2018); L’anno in cui finì Carosello (2019); Come (Lietocolle/Ronzani Editore, 2022). Per la saggistica: Come salvare la poesia dai poeti (Serse Cardellini Thauma, 2015).