Cristina Micelli

BATTITI SOTTOTRACCIA

Gorizia Most

(qudulibri , 

2025)

*
In piazza degli arbitri la corriera non passa
la pensilina ha una fermata per lo sguardo
e una per le lettere maiuscole.
Sul muro di fronte la scritta Belli Tutti
ravviva in un lampo il rosso della vernice.

Nel paese senza nessuno
i monti scendono dai sentieri, con i piedi
tracimati delle radici, gli occhi bassi degli arresi.

*
Filtri, insetti, manganelli nei cervelli. Ciascuno
lontano dalla gioia, rintanato in cella propria.
Confinato il moto a cuore
il moto a luogo, il viaggio fra sogno e reale
spacciato il muro per la gabbia ideale
la colata di marmo sul viso. A ciascuno.

Stanno in fila e piove l’ordine delle gocce armate
il guardare basso fa quadrato sul selciato.
Si pensa alle lettere in soffitta
malgrado ciò sto bene e spero il medesimo di voi.

*
In caso di coraggio da contagio non dire dove ci troviamo
facciamo cordone sanitario al perimetro delle fobìe
guardare come si sorride, tagliare una crostata su un letto
di rovine.

*
L’insegnante vorrebbe saltare il capitolo sugli untori
per non rivedere se stesso in castigo nei corridoi.
Ripete fra sé la lezione delle cose innominate
capisce dopo un caffè perché in un anno scolastico
si è passati da un popolo di asintomatici
a un popolo di astensionisti.

*
Svuota imballaggi più grandi di lei
e la polvere ferisce non poco col suo cadere
di prospettiva, cipria indistinta fra la pelle e le ciglia.
Il pensiero va ai cartoni se possono contenere racchiusa
una vita, se le peggiori condizioni hanno sottotitoli
per non tirare la cinghia.

I padri a dar contro al nemico sbagliato
gareggiano fra loro per i figli all’estero
e al rientro un contratto commercio settimo livello.
La ribellione punk nelle calze bucate
essere giovani e precari, difendersi dai padri.

*
Al park delle vespe gli indizi sui muri
la scritta come un mantra
Credici tu credici, lo ripete da sempre.
Il Cristo velato è sceso al casting dei portoni
con le asole perfette e il trucco a cielo aperto.

Ma Lei sta scrivendo tutto quello che diciamo?
chiede il tipo della tripperia e
l’aroma sale al caffè Gambrinus
le tazzine usate dalla Merkel in vetrina
il medaglione d’oro sul collo del tassista
l’attitudine alla reliquia di una città sottovuoto.
Chi ha il copione in mano
sfiata il tufo con la chiave di volta.

Superata la prova – così ci era sembrato –
restava un nervo scoperto, pensando a
che fine avesse fatto il silenzio.
E anche su questo tutti d’accordo:
zitti, nemmeno un cenno.

*
Nel reticolo sottotraccia si prega di non scendere le scale
a confine delle mani la luce ozono e la porta stagna.
Nel blu di bunker rasente le braccia
i grilli scendono le gallerie in fila indiana.
E quando l’uscita gira all’ombra del bosco
sul cumulo anche noi siamo Enfretors
fra la torre in piedi e quella scomparsa.

*
Le forze del disordine

Lis bicicletis a sotet tal fis dai noglârs
e un odôr di sâl ator de palût.
Nô ingropâts un miâr tal lavôr al contrari
nô le roste a le fam, a lis pachis.
Se il pît al poche su le pale
si slontane il Canada, l’Australie.
Scuadre un, scuadre doi. Tornate a casa.

– Ma nô si platavin come gneurs
di ca e di là de pôre blancje –

Snait di animâl che al scjampe a le grampe
al traviarse le strade e al salte le leç contrarie.
Nô o vin i voi tal alarme
disore le linie marcade dal blanc e
marcjepîts di pandemie e ciment.
Restate a casa. L’altoparlant al grate
i pas distants e i dîs minûts
di code par vioditi. E ancjemò
da lis stradis in bande
le forze del disordine
a violentin le pâs di une brame.

*
Le forze del disordine

Le biciclette al riparo nel fitto dei nocciòli
e un odore salmastro attorno alla palude.
Noi intricati un migliaio nel lavoro al contrario
noi l’argine alla fame, alle manganellate.
Se il piede insiste sulla pala
si allontana il Canada, l’Australia.
Squadra uno, squadra due. Tornate a casa.

– Ma noi ci nascondevamo come lepri
di qua e di là della paura bianca –

Vivido è l’animale quando manca alla presa
attraversa la strada e salta la legge contraria.
Noi abbiamo gli occhi nell’allarme
sopra la linea marcata del bianco e
marciapiedi di pandemia e cemento.
Restate a casa. L’altoparlante stride
i passi a distanza e i dieci minuti
di coda per vederti. E ancora
dalle laterali
le forze del disordine
violentano la pace di un’intenzione.

È una manciata di trentuno testi quella che la poetessa friulana Cristina Micelli ci affida nella sua quarta raccolta di poesie, “Battiti sottotraccia” (2025), accolta nella bella collana Gorizia Most (gemmazione della precedente fare voci) diretta da Giovanni Fierro per qudulibri.
Un manipolo di testi che con la forza stilistica di un verso asciutto e sempre preciso nella sua aderenza alla realtà ci presenta la testimonianza, di stringente urgenza civile ed esistenziale, dell’attraversamento di un tempo, il nostro, che Ernesto de Martino avrebbe detto “non voluto”.
Lo sguardo di Cristina Micelli procede da un luogo della storia che chiamiamo frontiera e che ci interroga nel suo movimento verso la presenza di ognuno di noi nel quotidiano del disastro, a esempio di pandemia ma non solo, e che con la precisione di un elettrocardiografo ci restituisce un’immagine nitida e ineludibile della nostra condizione di fragilità pericolosa e pericolante.
L’invito è forse quello a resistere, Enfretors, fra le torri, sopravvissute o crollate che siano. Legittima, dunque, la domanda posta in uno dei testi centrali della raccolta: «Ma Lei sta scrivendo tutto quello che diciamo?», certa e luminosa qualche verso dopo la possibile risposta: «restava un nervo scoperto, pensando a/ che fine avesse fatto il silenzio. / E anche su questo tutti d’accordo:/ zitti, nemmeno un cenno.»

Cristina Micelli è nata a Udine e scrive sia in lingua italiana che in lingua friulana. La poesia di Cristina Micelli si fa argine a un distopico presente mostrandosi come un affresco di persone profondamente radicate nel paesaggio friulano, nella cultura di una terra/frontiera, con un senso della storia che scorre, eco di memorie strettamente intrecciate alla geografia dei luoghi, le montagne amiche, i fiumi, il confine. Si inserisce nel ricco filone dei poeti friulani, voci dal linguaggio poetico asciutto, privo di eccessi lirici, che scava nell’essenza stessa dell’esistere. Ha pubblicato le raccolte poetiche: “Stato di veglia” (Ed Dot.com Press, Le voci della luna, 2011) prefazione di Ivan Fedeli e postfazione di Francesco Tomada. Classificata 2^ al Premio internazionale Renato Giorgi sez. raccolta inedita nel 2011. “A chi scorre” (qudulibri, 2017) prefazione di Giuseppe Nibali. Menzione al Premio InediTO Colline di Torino nel 2016. “L’ospite di spalle” (qudulibri, 2020) prefazione di Marco Ercolani e illustrazioni di Silvia Lepore. Classificata 2^ al Concorso nazionale di poesia e narrativa Guido Gozzano – sez. silloge inedita nel 2019. Suoi testi sono presenti in siti web e antologie, fra cui “Poeti e poesia” a cura di Elio Pecora e “Fuochi complici” a cura di Marco Ercolani. Suoi testi sono stati inseriti in libri d’artista per “Libri Di Versi” – Porto dei Benandanti nel 2018 e “Metamorfosi” – collana Le Darsine – Dars Udine nel 2019. Fra gli eventi si segnala la partecipazione, assieme al musicista Giorgio Pacorig, al Brda contemporary music festival (Slo) nel 2024.