Francesco Sassetto

FRANCESCO SASSETTO

 

Mi piacerebbe iniziare l’intervista con un ricordo. Com’è stato il tuo primo incontro con la poesia?

E’ stato un incontro tardivo. A venti-venticinque anni ero appassionato di fotografia, fotografavo Venezia di notte, stampavo in bianco e nero. Scrivevo ma mi occupavo di critica. Ho cominciato a praticare la poesia tardi, dopo il mio primo divorzio. Conoscevo la poesia ma mi sono scoperto scrittore molto tardi.

 

Dunque era già una scrittura matura?

Era molto letteraria, montaliana, pavesiana, le prime poesie sono state pubblicate in un volumetto nel 2002 edito da Montedit contenente una ventina di poesie. La copertina era una mia foto ed è piaciuta molto. Qualche poesia era già in dialetto ed alcuni testi sono confluiti nella raccolta Ad un casello impreciso pubblicata nel 2010 da Valentina editrice.

 

Scrivi in dialetto e in lingua italiana.

Fabio Franzin dice “la lingua la cerchi, il dialetto ti chiama”. Quando ho bisogno di ordine e razionalità scrivo in lingua. Il mio bilinguismo ha origine dalla nascita. Le poesie in dialetto le scrivo per dire con più profondità, con più emozione quello che penso e che sento.

 

Tu insegni italiano agli stranieri. Usi anche la poesia come mezzo di insegnamento?

È molto difficile usare la poesia perché questi stranieri hanno spesso conoscenza dei soli poeti cosiddetti poeti nazionali ed è complesso far capire loro che la poesia può essere usata per raccontare anche sentimenti e altro e che non ha confini.

 

Tu lavori con classi eterogenee. Come imposti il percorso di insegnamento?

Insegno a studenti di tutti i paesi e di tutte le età. Tutti conoscono un po’ di italiano, specialmente gli africani e i popoli dell’est europeo che sono mossi dal desiderio di imparare mentre altri appartengono a comunità molto chiuse e non sono interessati ad approfondire l’italiano. Cerco di mediare. Oltretutto sta nascendo una lingua nuova, una sorta di meticciato, una lingua costituita da un italiano povero di fondo, che mantiene alcune parole della loro lingua ed è contaminata dal dialetto.

 

Prossimamente uscirà un libro. Il cielo sta fuori. Ce ne vuoi parlare?

È un libro che amo molto perché riprende alcuni testi già editi, un po’ rivisitati che sento ancora vivi. È un po’ fare il punto, dire ciò che sono adesso. Contiene molti inediti, vari in italiano, alcuni in dialetto. Ci sono i temi che mi sono molto cari: temi civili in senso lato, temi d’amore e temi esistenziali scritti sulla scia del cosiddetto male di vivere.

Il cielo sta fuori sarà un libro composito con un’unità di fondo, un libro che vuole rappresentare ciò che sono come uomo e come scrittore.