Gianfranco Lauretano

Questo spentoevo

Le mancuspie

(Graphe.it, 

2024)

Togliti dalla lontananza
Togliti dalla lontananza
vieni, entra nella stanza.
Fallo tu perché i muscoli
non rispondono, non riesco
a dare ordini e non ho più
ricordi di bellezza. Vieni
in virtù di queste braccia
tese, come una brezza
fanne ali stese, madre
mia ti supplico col residuo
di energia disperdi la paralisi
che mi strazia e tienimi in quel
grembo pieno di grazia.
 

Non ho scritto altro che d’amore
Non ho scritto altro che d’amore
non perché ne sia capace
ma perché percuote le mie ore
mi modella l’espressione della faccia
mi fa stare e andarmene in pace
nella guerra del mondo.
Anzi l’amore si scrive e si legge
da solo, unico artista
io mi godo la rappresentazione
da protagonista.

Il valore
…venne tra la folla
e da dietro toccò il suo mantello.
(Marco 5,27)

Il valore viene senza avvertimento
come un bel giorno come una resa
nel pieno del combattimento
un sorriso sopra il mento duro
che sguardava cinico e infuriato
e poi il cinismo, come per grazia,
se n’è andato, dentro al vento
dell’alba.

Vale la pena perché nella guerra
la frutta continua a maturare
la terra butta i fiori anche d’inverno
anche senza arare, gli animali
cercano il cibo e l’amore
e i bambini ridono e riderebbero
anche nel mezzo dell’inferno.
Perché tutto indica il contrario
della solitudine, tutto si apre
al cielo, che s’allarga come
un albero.

Vale la pena perché è valsa.
Tante volte nel giorno devastato
avanzavo per strade polverose
e inabitate, ma quando comparivi
cercavo di toccare il tuo mantello.
Vale aspettare persino nella polvere
e quando passerai fa’ che ti tocchi
quando apparirai fa’ che non guardi
altrove.

A una maestra in vacanza
…e tu che dopo
un lungo lavorare
giungi trasognata
in riva al mare
tu che lasci andare
le mani dei bambini
ai loro giochi
fantastici e solari
tu che scrivi sulla sabbia
“saluti dal paradiso”
come una cartolina
che mi vuoi mandare
sei tu, volevo dirti, il mare

                                                                                     Quando apparirai, fa’ che non guardi altrove

Dopo sette anni di silenzio, in cui ha privilegiato saggistica e critica, pubblicando i volumi monografici, entrambi egregi,”Federigo Tozzi, Una rivelazione improvvisa” (Raffaelli, Rimini, 2020), “Beppe Fenoglio, La prima scelta” (Ares, Mi, 2022), diretto la collana “Poesia contemporanea”, nonché l’ “Almanacco dei Poeti e della Poesia contemporanea” (Raffaelli, Rimini) e la serie di volumi critici annuali sulla poesia contemporanea “L’Anello critico” (Cartacanta, Forlì, 2023), Gianfranco Lauretano torna all’amata poesia presentando un raffinato volumetto dedicato a Giorgio Caproni con la voce del quale  (Ahi mia voce, mia voce. / Occlusa. Rinserrata. / Anche se per legame / musaico armonizzata.) – insieme a un espressivo ritratto a firma di Roberto Pasqua – introduce quindici testi molto intensi, la maggior parte dei quali articolati in strofe. Si vedano, ad esempio, le cinque sequenze del testo “Risposta a Leopardi”, suo ideale interlocutore, nelle quali, rivolgendosi a una Cara Beltà, le pone e si pone domande affatto astratte rispetto al senso della vita – sul quale ciascuno si dovrebbe interrogare -, con ritmo incalzante, quasi ossessivo. Prendiamo i versi finali della seconda: Una prova, un richiamo /questo amore pulsante / è consolazione? Ma / consola ciò che muore / incessantemente? O alcuni altri a metà della quarta: Ma, sai cosa, / non me ne frega niente /l’eterno viene in una / brezza, in una che mi ha / nel mondo intero avuto / caro, in una mano calma / che è discesa in viso. In “Questo spentoevo”, opera dal titolo potente ed evocativo che non lascia spazio a fraintendimenti e parrebbe segnare la temperie dell’intero libro dichiarando i limiti di una ragione priva di luce, con un colpo d’ala il nostro chiarisce senza esitazione (non me ne frega niente) che “l’eterno viene in una brezza” accendendo una scintilla che nessuno mai potrà spegnere.

Nella nota al libro ci racconta che la poesia di Giorgio Caproni gli pare un miracolo e che entrare in empatia con lui non può non lasciare un segno, anzi di più “non consente di uscirne immutati”. Avere frequentato assiduamente la sua poesia, averne dovuto parlare nel tempo in alcune conferenze, lo ha coinvolto a tal punto da “influenzare intimamente” la sua scrittura. Ho usato non a caso il termine “raccontare” perché questa è, a mio parere, la postura che connota Lauretano sia che parli di esperienze personali, sia che si occupi di altri (siano essi grandi Auctores o semplicemente poeti onesti, esperti o alle prime armi). La postura di chi si siede amabilmente accanto all’altro da sé per coglierne l’anima, il pensiero, le vibrazioni, la tenuta stilistica dei testi che ne sono scaturiti. Racconta, ancora, come nell’urgenza della scrittura poetica spesso le parole si prendano la libertà di agire come il loro seme/cuore comanda, si muovano insomma “indipendentemente dall’intenzione del poeta e come se fossero dotate di vita propria… in una lotta, tra sintassi e metrica, dove basta un accento per sconvolgere l’universo”. Ciò che si evince con chiarezza dall’opera di Caproni e che taluni purtroppo non capiscono esigendo un facile accesso alla poesia, che essa sia, insomma, comprensibile in tutto e per tutto. Eppure basterebbe chiedersi se noi capiamo tutto delle persone anche più vicine, quelle che amiamo e ci amano…

Diceva bene Édouard Glissant, scrittore poeta saggista francese della Martinica, che ciascuno ha diritto a una zona di “opacità”, una sorta di “divergenza esultante delle umanità”, che si può anche tradurre, restringendo il campo, nella difesa da parte di ciascuno della parte più intima. Ed è proprio la presenza di ciò che Lévinas ha definito come “la trascendenza del volto dell’altro” a rendere possibile questo fenomeno complesso e imprevedibile. Prendiamo ora il testo cuore della silloge, “Lo spirito della neve”, che in sette sequenze intitolate ai giorni della settimana, a partire dal lunedì, ci conduce ex abrupto in un parco dove i rumori sono attutiti e “un sentore annuncia nell’aria/qualcosa che non è normale”, coinvolgendoci in un’atmosfera sospesa che si carica via via di suspance. Il martedì annuncia, infatti, che l’aria si raffredda e il cielo plumbeo non fa presagire niente di buono, ma “per fortuna / succede qualcosa che non so”; il mercoledì “il pianeta invaso dalla neve / si è fatto invisibile / per eccesso di visione”; il giovedì “Come gli dei antichi / dovevano mutarsi in noi / perché potessimo guardarli / senza perdere la vista, / così succede adesso / nella sembianza della neve. Uno spiraglio di godimento, subito smentito, s’annuncia il venerdì “costretti all’attesa/godiamo della quiete, fremiamo / per la noia; il sabato “La città azzera la sua storia… L’oblio è il risultato del gelo… ci manca la vita di prima, a noi che / non sappiamo più che c’era / un prima. Ma una svolta si palesa la domenica, il giorno biblico del riposo di Dio, segnalata da indizi rassicuranti provenienti dal tempo remoto dell’infanzia, un tempo primigenio e potenzialmente salvifico: “Una luce fioca tocca l’aria / mentre dorme il seme / di grano al calduccio, come / mi raccontavano da piccolo. / Le cose nascoste si riavviano / al disgelo, dopo la stasi / disumana d’una epoca diaccia. / Dietro le nubi persiste un sole / ma ama andarsene e tornare / seminare la storia un’altra volta.

Cosa vorrà significare il poeta con questi versi se non che il nostro percorso terrestre, per quanto travagliato e talvolta incomprensibile (invisibile per eccesso di visione), può lasciare spazio a qualcosa di imprevisto e imprevedibile (qualcosa che non so), ma che a prevalere è la nostra volubilità se il piacere per una ritrovata quiete lascia immediatamente spazio alla noia, e ci manca la vita di prima. La città, cioè la gran parte di noi, ha la memoria breve, azzera la sua storia.

A soccorrerci ecco un’immagine dall’infanzia (dorme il seme di grano al calduccio come mi raccontavano da bambino)capace di stemperare il pessimismo diffuso, le visioni inquietanti dei primi sei giorni della settimana, lasciando aperte prospettive che sta a ciascuno di noi, dopo la stasi disumana, decidere come orientare (seminare la storia un’altra volta):un me lontano soffia qualche indizio raro da una vita. Vivo e vegeto / sgorga di continuo / e ricompone corpo e anima / si danno una ad una / le risposte, dove io / non è più solo.

E così torniamo all’amato Caproni, al suo totalizzante apparente pessimismo “argutamente voluto e pilotato” (sic Vincenzo Cerami), dove proprio nella reazione a tale spaesamento i versi “fermentano, risuonano di echi nuovi e creano un campo magnetico di forza contrari al significato primario”. Lo stesso avviene in questo percorso in versi di Lauretano.

La poesia, oltre che preghiera si fa così profezia scorgendo lo scalpore di un verde che rinasce, nonostante tutto, facendo strada al bene e alla speranza: “Dio è là da quelli /
che sanno l’unità / li raduna e se li fa / rassomigliare, tutte /quelle piccole trinità. Gesù, unico vero autore.

 

Gianfranco Lauretano è nato nel 1962, vive a Cesena. Ha pubblicato i volumi monografici La traccia di Cesare Pavese (Rizzoli, Milano 2008), Incontri con Clemente Rebora (Rizzoli, Milano 2013), Guido Gozzano. Il crepuscolo dell’incanto (Raffaelli, Rimini 2016), Federigo Tozzi. Una rivelazione improvvisa(Raffaelli, Rimini 2020), Beppe Fenoglio. La prima scelta (Ares, Milano 2022), le traduzioni dal russo Il cavaliere di bronzo di Aleksandr S. Puškin (Raffaelli, Rimini 2003), La pietra di Osip Mandel’štam (Il Saggiatore, Milano 2014), alcune raccolte di poesia, tra cui Occorreva che nascessi (Marietti, Milano 2004), Di una notte morente (Raffaelli, Rimini 2016), Rinascere da vecchi (Puntoacapo, Alessandria 2018), Molitva tela (Free poetry, Mosca 2019) e il volume di critica letteraria sulla poesia romagnola Nekropolis, Romagna (CartaCanta, Forlì, 2023).

Dirige la collana Poesia contemporanea e l’Almanacco dei Poeti e della Poesia Contemporanea (Raffaelli, Rimini), la rivista di arte e letteratura Graphie (Il Vicolo, Cesena) e la serie di volumi critici annuali sulla poesia contemporanea L’Anello Critico (CartaCanta, Forlì).