George Mario Angel Quintero

Due testi dell’autore colombo-statunitense George Mario Angel Quintero con traduzione inedita in lingua italiana a cura di Monica Guerra e Sandro Pecchiari.

 

Vecchio asino, dice mia moglie.
I fiori sollevano il capo,
Ridono e si separano dallo stelo,
Nell’aria si insinuano come fate
Colorate ed effimere.  

Non startene lì impalato, vecchio asino.
Di notte, la violenza.
Al sole, solo tre otri
sghignazzano.

Dove? Raglio.
Dove i ladri
S’innamorano,
Rimbecilliscono
E finiscono uccisi.

Quello che mi andava bene ieri,
Oggi non mi va più.
I bambini
Ci torturano.
Le loro madri
Si congratulano. 

Io mastico petali di rosa.
Sbircio fuori e una cascata
Di schiavi e martiri discende
A rimodellare
Un incantesimo.

Dietro questo rampicante
Umano, denso di foglie,
Le mie palpebre umide
Sbattono.
I fiori divengono immobili.

Una mano tenera,
Forse cieca,
Sotto il sole pungente,
Si allunga verso di me. 

Vieni, vecchio asino, vieni.
Uscimmo dal giardino a piedi.

*

Burro viejo, dice mi mujer.
Las flores levantan sus cabezas,
Se ríen y se despegan de sus tallos.
Se arriman por el aire como hadas,
Coloridas y efímeras.

No te quedes ahí, burro viejo.
En la noche, violencia.
Al sol, sólo tres vejigas
Tirándoselas de charritas.

¿Dónde? rebuzno.
Donde los ladrones
Se enamoran,
Hacen el oso,
Y los matan.
Lo que me lucía ayer,
Hoy no.
Los niños
Nos torturan.
Sus madres
Los felicitan.

Mastico pétalos de rosas.
Me asomo, y cae una cascada,
De esclavos y martirios,
Para remodelar a un encanto.

Tras esta enredadera
Humana, densa en hojas,
Mis ojos húmedos
Parpadean.
Las flores se aquietan.
Una mano tierna,
Quizás ciega,
Bajo el sol picante,
Se extiende.

Ven, burro viejo, ven.
Salimos del jardín a pie.

*

Old donkey, says my wife.
The flowers lift their heads,

They laugh and separate from their stems.
They come toward me
Through the air like spirits,
Colorful, ephemeral. 

Don’t stay there, old donkey.
At night, violence.

In the sun, just three bladders
Yucking it up.

Where? I haw.
Where theives
Fall in love,
Make idiots of themselves,
And are killed.

What suited me yesterday,
Today does not.
The children
Torture us.
Their mothers
Congratulate them.

I chew on rose petals.
I peer out, and a cascade
Of slaves and martyrdoms
Comes down to remodel
An enchantment.

Through this human espalier,
Dense in leaves,
My moist eyes
Blink.
The flowers grow still.

A tender hand,
Perhaps blind,
Beneath the stinging sun,
Extends itself to me.

Come, old donkey, come.
We left the garden on foot.

*

Fine in verde

Orribile com’è arrivata la vita
in massivi funghi di vapore.
Fetida la marea giallastra
da lontano si avvicina di onda in onda
mentre piove cenere sulla spiaggia
da scheletri di edifici carbonizzati,
qui sulla riva di questo mare di polline. 

Catene di semi giganteschi al posto delle nuvole
divampano in macchie fluttuanti nell’arsura.
In questo istante, a primavera
le foglie traducono la luce e sollevano
gli steli arricciati, i loro abbracci smaltati
sui pilastri di un cielo a spirale.

Il sudore scivola in una tiepida pioggia
sulle vetrine vuote di vicoli
mai percorsi. Crescere
esercita una pressione interna ed esterna.
Ogni cranio è un germoglio.
Fiorisce e una volta aperto s’incolora.

Come un vecchio lento e
pesante, l’acqua fetida
un passo alla volta scala le vette.
Le superfici muschiate
da tanta copulazione e sfregamento
spalmano la loro patina sulle scogliere.

Il mio poco è niente, un volto
affacciato fuori per un istante,
mentre l’acqua, quello specchio colmo,
si eleva al cielo, fino a che
i due firmamenti si baciano.
E io che ho sentito la luce cadere su di me
cosa respirerò da quel clamore?
Che ne sarà di un altro loto
schiacciato da una stella?

Ma senza sosta o sospiro
i soli si inzuppano
e i pianeti si dissolvono.

E poi il drenaggio.
Le isole che smorzano,
come spugne, sgocciolano
sul fondo la loro ingordigia
nella gola
aperta e oscura.

Che rimanga tra noi,
noi resti di rifiuti organici.

La sillaba che copre,
contagia i calici con le metropoli
la luce li attraversa.

Comunicare è condividere la febbre.

Il dispiegarsi di foglie sono cieli
sopra danze di spighe intrecciati in ghirlande.
Queste illuminano le costole palpitanti
attorno a ogni seme.
La rotazione, gialla, tra i fulmini
enuncia in lucide cascate
come fare brillare anche le loro bocche.

Crescere è suggerire.

Una notte stellata
chiusa in un bozzolo.
I gusci tintinnano
e le acque s’innalzano.
Stami intrappolati
nelle corone delle capanne
cercano di forare la paglia
dei loro soffitti silenziosi.
Le parole penetrano
e ogni abitazione germoglia spine.

Ma come aggrapparsi
a una pietra incompiuta?

*

 

Fin en verde

Horrible como llegó la vida
en hongos masivos de vapor.
Olorosa y amarilla, su marea
se avecina en olas desde la distancia,
mientras sobre la playa caen cenizas
desde esqueletos de edificaciones calcinadas,
aquí a la orilla de este mar de polen.

En vez de nubes, cadenas de semillas gigantescas
estallan en manchas flotantes que atraviesan el calor.
En esta instancia, en el giro primaveral,
hojas traducen la luz y levantan
las sortijas de tallo que abrazan y esmaltan
los pilares de un cielo en espiral.

En una llovizna tibia cae el sudor
sobre vitrinas vacías en pasajes
que nunca se estrenaron. Crecer
ejerce presión por fuera y por dentro.
Cada cráneo es un botón.
Florece y ya abierto se colora.

Como un anciano lento y
pesado, las aguas fétidas
escalan las alturas paso a paso.
Sus superficies ya barbudas,
de tanta copulación y roce,
embadurnan los riscos con su verdete.

Lo mío es nada, un rostro
asomado momentáneamente,
mientras el agua, ese espejo repleto,
sube hacia el cielo, hasta
que los dos firmamentos se besan.
Y yo, que sentía la luz caer sobre mí,
¿qué respiraré de ese estruendo?
¿Qué será de un loto más
al aplastarse contra una estrella?

Pero sin pausa ni suspiro,
los soles se empapan
y los planetas se disuelven.

Luego el drenaje.
Las islas que amortiguan,
como esponjas, chorrean
su peso por debajo
hacia una gula
abierta y oscura.

Hablemos entre nos,
entre deshechos orgánicos.

La sílaba que tapa,
infecta de urbe a los sépalos
por los cuales ventea la luz.

Comunicarse es compartir fiebre.

El despliegue de hojas que son cielos
cubre danzas de espigas trenzadas en roscas.

Estas iluminan las costillas palpitantes
alrededor de cada semilla.
Giran, amarillas, entre rayos
que enuncian, en cascadas lúcidas,
cómo destellar hasta sus bocas.

Crecer es sugerir.

Una estrellada noche
encerrada en un capullo.
Vainas maracan
y el agua sube.
Estambres atrapados
en las coronas de sus chozas
buscan cómo punzar el tejido
de sus techos silenciosos.
Las palabras traspasan
y cada habitación brota espinas.

¿Cómo aferrarse
a piedra inconclusa?

 

Figlio di genitori colombiani, George Mario Angel Quintero è nato nel 1964 a San Francisco, in California, dove ha trascorso i suoi primi trent’anni. Ha studiato letteratura all’Università della California ed è stato Wallace Stegner Fellow alla Stanford University. Sotto lo pseudonimo di George Angel, ha pubblicato poesie, romanzi e saggi in inglese e un libro di racconti; La quinta stagione ha vinto il premio Nilon Fiction Collective 2 nel 1995. Nel 2016 è stata pubblicata una nuova raccolta intitolata On the Voice. Dal 1995 vive a Medellin, in Colombia, dove ha scritto sette libri di poesie e tre libri che raccolgono le numerose opere teatrali, tutti in spagnolo, con il nome di Mario Angel Quintero. Continua a scrivere e pubblicare sia in inglese sia in spagnolo. È artista visivo, regista e drammaturgo della compagnia teatrale Parpado Teatro, nonché membro fondatore di numerosi gruppi musicali. È regolarmente invitato a condividere i suoi testi in festival internazionali di poesia.