Gaio Valerio Catullo

(Carmina, 

VIII)

Nel tradurre questa poesia ci si è posto con una certa urgenza il problema della resa grafica del materiale poetico. Cercavamo una strada per mostrare nel modo più immediato possibile la varietà dei toni e delle prospettive dei versi, che a nostro avviso traspare in questa poesia. In essa, più che in altri componimenti, Catullo ci sembra profondamente combattuto, lacerato da un amore che è finito ma che continua a tormentarlo, ma soprattutto dalla propria incapacità di accettare la perdita di questo amore.

A tal fine, abbiamo pensato di collocare nella stessa porzione della pagina i versi che a nostro avviso hanno una medesima intenzione, utilizzando altresì sia caratteri in tondo che in corsivo. In particolare, in tondo a sinistra, abbiamo posto i versi che ci sono sembrati più discorsivi, mentre a destra, in corsivo, quelli più riflessivi e introspettivi: quelli che attingono a una consapevolezza maggiore, e che in certi casi sembrano contraddire l’intenzione o finanche il contenuto dei primi. Al centro abbiamo collocato dei concetti chiave, che l’autore ha veicolato con frasi lapidarie, forse per cercare un punto d’appoggio che gli permetta in qualche modo di sopportare il dolore e di ancorarlo ad una qualche convinzione razionale, fosse essa l’illusione della possibilità di resistere, o l’auto convincimento che la sua donna, senza il poeta, soffrirà.

Traduzione

Misero Catullo, smettila di fare l’idiota!

Ciò che è finito, è perduto.

Accettalo!

Rifulsero per te soli splendenti,

un tempo, quando andavi di continuo

dove ti accompagnava la ragazza

(amata da me quanto mai nessun’altra):

 

lì facevate quei giochi

che tu bramavi, e che lei

ti lasciava fare.

Eh sì, per te rifulsero proprio giorni splendenti…

 

Ora, di già, a lei non va più. E allora anche tu (ma tanto non ne sei capace) non volere; non molestare chi fugge, non vivere da miserabile; ma sopporta ostinato, resisti!

 

Stammi bene, bambina, d’ora in poi

Catullo resiste

 

e non ti cercherà

e non ti pregherà                                                                                  (se non vuoi).

 

Ma tu soffrirai,

quando nessuno ti cercherà.

Sciagurata! e non ti…

 

Che vita ti resta?! Chi verrà da te, ora?! A chi sembrerai bella? Chi amerai? Di chi dirai di essere? Chi bacerai?                                         

  A chi mordicchierai le labbra?

 

Ma tu, Catullo, ostinato, resisti!

 

 

Testo originale

 

Miser Catulle, desinas ineptire,

et quod vides perisse, perditum ducas.

Fulsere quondam candidi tibi soles,

cum ventitabas quo puella ducebat

amata nobis quantum amabitur nulla.

Ibi illa multa cum iocosa fiebant,

quae tu volebas, nec puella nolebat,

fulsere vere candidi tibi soles.

Nunc iam illa non vult: tu quoque inpotens noli,

nec quae fugit sectare, nec miser vive,

sed obstinata mente perfer, obdura.

Vale puella, iam Catullus obdurat,

nec te requiret nec rogabit invitam.

At tu dolebis, cum rogaberis nulla.

Scelesta, vae te, quae tibi manet vita?

Quis nunc te adibit? Cui videberis bella?

Quem nunc amabis? Cuius esse diceris?

Quem basiabis? Cui labella mordebis?

At tu, Catulle, destinatus, obdura.

Gaio Valerio Catullo (Verona 84 a.C. – Roma 54 a.C. ca.) è forse il poeta latino più vicino al nostro sentire. È apprezzato soprattutto per aver cantato l’amore non corrisposto con inedita franchezza ed onestà. Capace di padroneggiare numerosi registri e forme metriche, è oggi annoverato tra i poeti più colti e raffinati di ogni tempo.