Francesco Targhetta

La colpa al capitalismo

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Q.B. PRIMO PIANO
Nota di lettura a La colpa al capitalismo
FRANCESCO TARGHETTA (La nave di Teseo, 2022)

 

 

Sarah è influencer, fa soldi grazie ai video in cui suo figlio scarta i regali che le varie etichette le mandano per farsi pubblicità. Uno sguardo al suo profilo lascia “la conferma/che la vita è soprattutto incremento”. Tiziano “tropicalizza” interni ed esterni, fa il decoratore floreale, e gli affari vanno bene perché “di questi tempi il lavoro non manca”, ma cosa importa se “è arido/il suo cuore” fino al punto da costringerlo in solitudine a “ripiegare su un’arcadia domestica”? 
Sarah e Tiziano sono due dei personaggi che incontriamo in La colpa al capitalismo, libro di Francesco Targhetta edito quest’anno da La nave di Teseo. La prima compare nella sezione eponima, formata come altre quattro (Vita associata, Individualismo occidentale applicato, Ad altezza d’uomo, Nothing left to do list) da raccolte di testi più brevi rispetto ai cinque poemetti (La vita seconda, Tiziano tra le bandiere, Nora dei fantasmi, Elegia per Marghera, Per Zero) posti con esse in alternanza quasi perfetta. Dal secondo di questi proviene appunto la figura del decoratore “triste”, stato d’animo comune a molti altri individui che costellano i versi di Targhetta. L’individualismo, d’altronde, è il substrato esistenziale dal quale emerge il crudele meccanismo del capitale, quasi un Fato, una Necessità che tutti accettano in stato di ormai totale assuefazione, non senza però serbare dentro di sé il senso della stortura di questo sistema. E infatti un altro nome dell’individualismo è la solitudine: qualcuno la insegue con esiti estremi, come gli hikikomori che si auto recludono, altri sono semplicemente incapaci di uscire dall’imbarazzo delle loro vite. Altri ancora sono così repressi che, dopo “le liti furiose”, “senti che nessuno se ne va/violento come avrebbe voluto”. Difficile, arrivati al punto su cui si affaccia ora la Storia, non accorgersi di come gli uomini barcollino tra scaffali veri e virtuali in preda a una sorta di consapevolezza infelice. È questa rassegnata tristezza lo spirito del tempo? E la colpa è del capitalismo? Possiamo anche dircelo, esserne convinti, dimostrarlo, ma alla fine resta comunque “un vuoto immenso” e la certezza che l’innocenza non appartiene agli esseri umani. Non appartiene a Sarah, che sancisce una verità detta, fra gli altri, da Andrea Zanzotto, e cioè che la pervasività della pubblicità, capace di entrare fin dentro la case delle persone, è segno dello strapotere del denaro, tanto che ormai la sponsorizzazione è diventata intrattenimento, spettacolo; non appartiene a Tiziano, che alla fine della propria vicenda, ammutolito dall’incomunicabilità, fa intercedere i propri fiori per chiedere al mondo di essere “buono”: “desisti”, in un esplicito rimando alla poesia in cui sempre Zanzotto implorava al mondo di esistere. 

La finestra aperta su Zanzotto dà modo di soffermarsi in particolare su Elegia per Marghera. Il poemetto manifesta e sviluppa una tendenza presente anche in altri punti dell’opera di Targhetta: l’attenzione per il paesaggio fortemente antropizzato. Per colpa dell’antropizzazione subìta, il paesaggio è stravolto, la natura è insidiata e oscurata da elementi che sembrano volerla soppiantare: “Dopo l’ingresso della Fincantieri,/dove sbocca la statale su ruderi/di industrie siderurgiche/ridotte a squarci e filami di amianto[…]” è l’incipit che ci conduce nel polo portuale e industriale di Venezia, dove si muove Fabio, sistemista della “Acrobyte (consulenza informatica)”. L’Elegia ripercorre la storia urbanistica di Marghera incorniciandola, nei primi e negli ultimi versi, con due differenti etimologie: se all’inizio “Non ha conferme ma piace ripeterlo/l’etimo fantastico del suo nome:/mar ghe gera – il mare, c’era”, alla fine “Marghera è da maceria che deriva,/ed è, per ricostruire,/tutto quello che serve”, quasi a dettare un percorso di perenne trasformazione per questa geografia sottoposta all’opera febbrile del capitalismo, dove tenacemente riesce a resistere “la fauna/acquatica tra unità di evaporazione/per il caprolattame e vasche/di fosgene sfiorate dagli incendi”. In altri paesaggi la natura è ormai occultata, fagocitata dalla città, come avviene in un passo de La morte seconda: “tutto il cielo che hai aiutato a disegnare/dov’è? dove si spande? Lo cerchi mentre svolti/tra gli autolavaggi/e mica lo vedi rovesciato nei pozzi/o riflesso negli smerigli delle fermate/del bus, mica lo senti dietro i rami dei roveri/o nelle aziende dove abbaiano i cani,/e nemmeno ne mimano i solchi/le sbrecciature che tramano/terrazze e balconi,/lo spatolato sotto a cui l’aspidistra/alza in salotto il suo finto/tropico”. L’uomo è al tempo stesso architetto e prigioniero di questo labirinto preapocalittico disseminato di cartelli e insegne, il paesaggio opprime ed è oppresso.  

Infine un cenno stilistico. Il ritmo di Targhetta orbita intorno a forme tradizionali, prendendo come baricentro l’endecasillabo, specialmente nei testi più distesi, ed elaborandolo in schemi liberi dove le figure di suono si trovano in alchimia con il senso del lessico esuberante. Possono venire in mente certe rime di Gozzano, e in generale il tono crepuscolare che attraversa vari componimenti è già stato fatto notare in altri interventi sul libro, così come i punti di contatto con la poesia di Pagliarani e di Zanzotto, citato anche in questa sede. Lo stile dell’autore, però, è altro ancora, è una interpretazione personale e coerente di forme classiche, in un gioco che in definitiva si dichiara letterario e in certe occasioni non manca di gettare sulla propria materia una luce, anzi una un’ombra, sottilmente ironica.

Michele Donati

 

 

La colpa al capitalismo

Data la colpa al capitalismo
sogna da sola una fuga in Transnistria
ma poi si accontenta
di essere triste

e di amare follemente le cose
tristi, certe strade, trattorie, pavimenti,
paesi piovosi di media montagna,
le giornate in cui nessuno la pensa,
il bitter, Faenza, il lago di Como:

è forse penitenza autoinflitta
o il suo modo di dire il dissenso?

Data la colpa al capitalismo
a rimanere è un vuoto immenso –
innocente non resta
che ciò che non è uomo.

 

Ipotesi di Grazia

Esce soltanto nel vasto giardino
per le lezioni con una dog trainer
ed è chiaro che le costa fatica
anche il breve scatto di corsa
per farsi seguire dal cane
tra i cespugli di gelsomino.

Guarire chissà se potrà guarire
quando è incerto persino che un male
ci sia, se la vita come tachicardia
era già nel pacchetto iniziale.

Restano queste ipotesi di grazia
nel disagio di sneakers seminuove
così da avere le prove
in giorni non troppo lontani
di aver preso parte, almeno a intervalli,
al gioco degli esseri umani.

 

Unboxing

Sarah di lavoro fa la madre
di un bimbo che scarta regali:
asseconda con cura i suoi segnali
di gioia, emette raffiche di urletti
euforici, centellina domande
retoriche sull’ipotesi di altri pacchetti
e lo riprende col suo cellulare.

La parte più difficile
è il montaggio dei filmati:
qualche lacerto deve esserci
del pupo che gioca in estasi
                      un paio di lanci di una macchinetta
                      brevi manovre sul telecomando:
non si può ricavarne l’impressione
di giocattoli usa-e-getta.

Nei video di Sarah i godimenti
si accumulano,
non subentrano l’un l’altro
in continuo avvicendamento.
Se ne trae, guardandoli, la conferma
che la vita è soprattutto
                               incremento.

 

Das Kapital

C’è chi ci crede e chi no
ma non distingui nei fatti
gli uni dagli altri, perciò
la professione di fede
dà conto di un’indole, niente
di più:
rivela chi gonfia nel gruppo
e chi si preferisce impostore.

Dalla parte giusta
della storia
ci sta solo chi muore.

 

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