L’Urlo di Ginsberg

Scandalo sempre attuale

(Faenza, Mantova, 

2025)

Cosa ci scandalizza, oggi, del testo letto pubblicamente per la prima volta 70 anni fa da Allen Ginsberg? Le menti migliori di quella generazione – ci dice l’Urlo – erano dedite a droghe, promiscuità sessuale, erano i cosiddetti “deviati”, reietti all’ultimo posto della società che non potevano non essere guardati con disgusto da un’America puritana e rapita dalla caccia alle streghe che non risparmiava nessuno. E infatti finivano in manicomio, in prigione, in periferie invisibili, luoghi in cui celare qualsiasi eccentricità rispetto alla vulgata conformista. Lo scandalo, quindi, stava nella diversità rispetto a ciò che veniva accettato come normalità, in una pulsione vitale che si mescolava misteriosamente con la morte ad abbattere rassicuranti schemi di interpretazione della realtà per offrire, invece, una ben più problematica (anche e forse soprattutto dal punto di vista politico) visione tragica dell’essere. E oggi? L’Occidente, perenne tramonto fin dall’etimologia, ancora è percorso da fantasmi che si aggirano per sobborghi oscuri, nuove forme di dipendenza uccidono corpi o narcotizzano anime, mentre non il fascismo, bensì il suo spirito – Moloch terribile che non indossa soltanto camicie nere o cappellini Maga, ma sempre è esistito e sempre dovrà essere combattuto nelle sue molteplici trasfigurazioni – stende la sua ombra sui popoli, stillando nei cuori gocce di veleno suadente e mortale. Oggi, in un’epoca che fatica a comprendere l’oscenità perché impegnato a consumarla e quindi a neutralizzarla, non sono più le voraci prestazioni sessuali di Neal Cassidy o i trip allucinogeni delle menti migliori della generazione Beat a turbare lettori ed ascoltatori: oggi l’urlo più scandaloso levato da Ginsberg è quello che dichiara la santità della misera creatura vinta dall’overdose, dell’amico perduto e umiliato dall’elettroshock, della madre annichilita. Elevare al Paradiso tramite la poesia chi è gettato nel fango della Storia: questo è lo scandalo sempre attuale di Ginsberg, a cui Pasolini, non a caso, si riferiva con l’epiteto di “angelico” in una lettera che terminava con il miraggio della rivoluzione. Non è stato naturalmente l’autore de “L’Urlo” il primo a indicare una via – allo stesso tempo etica ed estetica – che si potrebbe dire antistorica, laddove la Storia sembra porre le sfrenatezze dell’ultracapitalismo, con alfieri la tecnica, lo scientismo, l’apatia di massa, su vette dove democrazie ed autoritarismi si nutrono del medesimo cibo: il poema di Ginsberg, strutturalmente permeato da rimandi all’ebraismo e al cristianesimo che potrebbero somigliare ai gesti di devozione di un eretico paradossalmente ortodosso, è il grido dell’umanità calpestata che benedice il proprio stato come stazione di ascesi spirituale. Per questo si inscrive nel fiore della tradizione occidentale, ma con movimenti che ne registrano la drammatica crisi. È un precipitare nell’abisso che svela in realtà zenit di beatitudine, è uno spirito ineluttabilmente compromesso con la materia e le sue catene, ma che tende al bene e lo sa trovare anche dove bigottismo e conformismo additano il male. Non si pensi, tuttavia, che esso coincida con una morale o, peggio, che occhieggi al culto dell’autosacrificio come certe tendenze religiose che travisano i messaggi sacri originari: Ginsberg urla infatti a Carl Solomon “sono con te a Rockland”, sono con te nel baratro più doloroso dell’esistenza, dove i tuoi simili non sono capaci di riconoscerti come loro fratello. E da questa comunione sancita dalla poesia, “intelligente gentilezza dell’animo”, guardo l’orrore di Moloch che tappezza d’oro strade insanguinate, inferno in terra, ed ammiro il santo avvicendarsi di vite e morti, Paradiso d’innocenza dell’umanità.

Michele Donati